Università di Tel Aviv: ”La variante sudafricana supera la barriera immunitaria Pfizer”

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di David Fiorentini

 

Disclaimer: Questo articolo si basa su un preprint non ancora peer-reviewed. Cosa significa? Un articolo scientifico di norma, per essere pubblicato su una rivista autorevole di settore, deve sottostare a quella che prende il nome di “revisione tra pari” (peer-review, in inglese). Tale processo garantisce una valutazione critica dei lavori, e in ultima analisi accresce quella che è la conoscenza su un determinato argomento. Quello di cui parliamo oggi invece è un lavoro divulgato in preprint, ovvero non è stato sottoposto al processo canonico di revisione tra esperti, che ne hanno accertato la validità e correttezza; un preprint non è che una bozza, e come tale deve essere considerata, non essendo passata al vaglio della comunità scientifica.

 

Secondo un nuovo studio dell’Università di Tel Aviv, la variante sudafricana (B.1.351.) del coronavirus sarebbe in grado di superare la barriera immunitaria del vaccino Pfizer-BioNTech. I ricercatori, in collaborazione con l’Istituto Clalit, hanno esaminato i tamponi di 813 pazienti e hanno scoperto che la percentuale della variante nel campione vaccinato era circa otto volte superiore rispetto al campione non vaccinato.

Questi dati preliminari sottolineano l’esigenza di una continua attenzione alla diffusione di questo ceppo in Israele, evidenziando la necessità di un monitoraggio epidemiologico e di un sequenziamento sistematico, in modo da contenere un’ulteriore diffusione della variante sudafricana in Israele” ha dichiarato la responsabile della ricerca Prof. Adi Stern.

Tuttavia, c’è anche una notizia positiva: gli otto casi registrati sono tutti concentrati entro i 7 giorni dalla somministrazione della seconda dose di vaccino.

Ciò indica che il principio secondo cui la copertura è veramente efficace solo 14 giorni dopo la seconda dose, è ancora valido. Inoltre, spiega l’immunologa italiana Antonella Viola, “dato che gli otto casi di infezione sono stati identificati una settimana dopo la seconda dose, è possibile che le persone siano state contagiate diversi giorni prima (della seconda inoculazione); quindi la risposta immunitaria, almeno in parte dei partecipanti, non era ancora completa.”

Il nuovo studio di Tel Aviv sembra confermare un’altra indagine israeliana, questa volta dell’Università Ben Gurion del Negev, che tramite dei campioni di sangue aveva già suggerito una minore copertura del vaccino Pfizer-BioNTech contro la variante sudafricana.

Nel frattempo, la diffusione delle varianti ha destato grande preoccupazione nei Governi mondiali, in particolare in Israele, dove la stragrande maggioranza di inoculazioni sono state eseguite proprio con il vaccino americo-tedesco. Per fortuna, le cause farmaceutiche si sono già mosse per la creazione di una “terza dose” volta ad aumentare la protezione contro le varianti più insidiose, tra cui anche la più recente variante indiana, che ha già contagiato 7 pazienti in Israele. Tuttavia, secondo la Prof. Stern, “è possibile che la vasta diffusione della variante inglese (molto più contagiosa e che conta oggi il 90% dei casi israeliani) abbia bloccato la circolazione della variante sudafricana. Praticamente, ha vinto la competizione.”

Al momento, l’unica priorità rimane la necessità di vaccinare il più velocemente possibile, limitando la comparsa di nuove varianti e riducendo le ospedalizzazioni. Israele ormai è a un passo dalla normalità, i numeri dei nuovi contagi sono sulle poche centinaia e domenica 18 è stato revocato l’obbligo della mascherina all’aperto.


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