Tre elezioni e una pandemia: il 2020 di Israele

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di David Fiorentini

 

Chi avrebbe mai pensato che per creare un governo ci sarebbe stato bisogno di una pandemia? Dopo tre mesi di restrizioni, Israele sta ormai tornando alla normalità: gli ospedali si svuotano, i ristoranti riaprono e le università accolgono i propri studenti. Ma nonostante questi segnali positivi, la strada per uscire dalla crisi coronavirus è ancora lunga; l’economia israeliana ha subito un forte contraccolpo da cui non sarà facile rialzarsi. Ma l’evento che ha destato più scalpore è sicuramente il patto siglato tra i leader Netanyahu e Gantz, per la creazione del tanto agognato governo di unità nazionale. Di fronte all’emergenza, è stato ritenuto necessario evitare un’ennesima tornata elettorale e tentare di mettere da parte le proprie divergenze, raggiungendo finalmente un accordo.

Per approfondire la questione, mercoledì 27 maggio l’Associazione Italia-Israele di Siena ha organizzato una diretta dove è intervenuto da Tel Aviv il Prof. Andrea Yaakov Lattes, Presidente dell’ASSEI (Associazione per lo Studio della Storia degli Ebrei d’Italia), che nel suo discorso ha delineato i vari fattori che hanno portato alla creazione del governo di unità nazionale, e le misure che hanno permesso a Israele di superare l’emergenza sanitaria.

Innanzitutto, è necessario tracciare un profilo dello Stato Ebraico antecedente alla pandemia. Lattes ha sottolineato 3 punti in particolare: il tasso di disoccupazione (3,5%), il PIL pro capite in crescita (41.000$) e la percentuale di popolazione giovane nel Paese (28%). Questi dati, che evidenziano un paese in salute e in forte crescita, sono fondamentali per comprendere la risposta di Israele al coronavirus. Ad esempio, se prendiamo in esame l’Italia, dove i giovani compongono solo il 14% della popolazione e gli anziani sono molto più numerosi, è evidente che il virus mieta più vittime che in Israele.

Appreso il contesto in cui si è instaurata la crisi, si può passare a parlare delle iniziative che il governo di transizione ha intrapreso. La più importante, ha evidenziato Lattes, è il repentino blocco dei voli internazionali. Israele ha iniziato fin da subito a mettere in quarantena preventiva i turisti provenienti dall’Estremo Oriente, e da metà febbraio ne ha anche impedito l’accesso. Simili misure sono state applicate anche nei confronti dei viaggiatori provenienti dall’Italia, che da inizio marzo non sono stati più ammessi nel paese. Ma i media stranieri, e in particolare quelli italiani, hanno reagito in modo feroce, accusando Israele di discriminazione. Eppure, a posteriori, è stata proprio questa la mossa fondamentale che ha permesso a Israele di salvare un gran numero di vite. Infatti, il successo di queste misure e della strettezza del lockdown è dimostrato dai numeri in Israele, che al 21 maggio contava circa 16.670 contagiati e 279 morti.

In sintesi, conclude il professore, se da un lato il nuovo governo si trova ad affrontare svariate sfide, come il milione di disoccupati (30% della popolazione attiva) e il PIL in decrescita del 5%, dall’altro si può affermare che l’emergenza sanitaria sia stata gestita in modo molto più efficiente rispetto al resto dell’Occidente.


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