Resistenza farmacologica alla malaria confermata in Africa

Progetto senza titolo

 

di David Ganem

 

Diversi scienziati hanno ormai confermato l’esistenza di un nuovo ceppo di malaria resistente a una famiglia di farmaci usati per curare questa infezione. ‘’Stavamo tutti temendo ed aspettando che una cosa del genere sarebbe accaduta da qualche tempo ormai ’’ ha sostenuto Leann Tilley, biochimico dell’università di Melbourne, in Australia, ricercatore sulla resistenza molecolare della malaria.

Segni di resistenza farmacologica erano evidenti in Africa già da diverso tempo. In Rwanda, tra il 2012 e il 2015, gli scienziati avevano già scoperto mutazioni genetiche capaci di produrre una resistenza maggiore nei parassiti della malaria. Un nuovo studio pubblicato nel New England Journal of Medicine dimostra come queste scoperte rafforzino la capacità delle mutazioni nel peggiorare la risposta agli antimalarici, rendendo quindi la guarigione più lenta e incompleta nelle persone colpite.
Nel trattamento della malaria vengono utilizzati cocktail di farmaci che includono artemisinin e i suoi derivati, in concomitanza con quelli che si chiamano ACTs (terapie di combinazione – Artemisinin), in quanto l’uso di diversi farmaci di questo tipo rendono più difficile lo sviluppo di resistenze da parte dei parassiti.

I primi segni di resistenza a questo farmaco e ai suoi derivati sono iniziati ad apparire in Cambogia nei primi anni 2000, da li a pochi anni nel Sudest asiatico i parassiti hanno iniziato ad evadere anche il cocktail di farmaci composti dagli ACTs, rendendo la nostra arma più efficace quasi inutile, e spingendo i medici a cercare altre combinazioni che potessero trattare la condizione.

Il 90% delle morti mondiali causate dalla malaria si trovano in Africa. Altro fatto preoccupante è che gli studi evidenziano come i parassiti resistenti in Africa si siano evoluti differentemente da quelli del Sudest asiatico, evidenziando come la variante africana si potrebbe continuare ad evolvere fino a culminare in un parassita super resistente che potrebbe diventare la ‘’versione dominante’’, sostiene Tilley.

Arjen Dondorp, dottore di medicina intensiva e capo del Mahidol Oxford Tropical Medicine Research Unit a Bangkok, ha detto: ‘’Il fatto più preoccupante è che ci affidiamo completamente al cocktail di farmaci di artemisinin per la terapia’’.
Gli scienziati temono che se uno scenario simile a quello accaduto in Asia capitasse anche in Africa, questo porterebbe a un numero molto alto di vittime.

In uno studio condotto in Uganda dal 2017 al 2019, i ricercatori hanno trattano 240 pazienti di malaria con iniezioni intravenose di artesunato, un potente derivato di artemisinin, per 3 volte al giorno, seguite da una terapia standard di pillole ACT. Normalmente i dottori somministrano artemisinin senza altri farmaci. Solo in presenza di pazienti più gravi era prevista un’aggiunta di altri farmaci adiuvanti.

Un team di ricercatori ha scoperto, per i 14 partecipanti di un trial clinico, che ci vogliono più di 5 ore per dimezzare la quantità dei parassiti (Plasmodium falciparum), riscontrando i criteri definiti dall’OMS come resistenza farmacologica, in quanto solitamente servono circa 2 ore per dimezzare la concentrazione di parassiti con artesunato. I parassiti in 13 dei partecipanti al trial hanno riscontrato 2 delle mutazioni più preoccupanti, ossia quelle riguardanti il gene kelch 13, identificato anche nella variante asiatica.

Anche se queste mutazioni sono state riscontrate in parassiti africani, “non sappiamo se effettivamente conferiscono immunità ai farmaci negli umani” ha affermato Toshihiro Mita, parassitologo alla Juntendo University in Tokyo e co-autore dello studio. Questa investigazione, ed una precedente pubblicata ad Aprile nel The Lancet Infectious Diseases, confermano i sospetti degli scienziati.

Uno studio pubblicato in aprile di un trial clinico effettuato con pillole di ACT in bambini ruandesi infettati dal parassita ha riportato come questi presentassero ancora parassiti al completamento della cura, e che più del 10% di essi presentassero almeno una mutazione del gene kelch 13, indicatore di resistenza (sebbene differenti da quelli riscontrati in Uganda).

Per ora sembrano apparire solo alcune conseguenze cliniche della resistenza ad artemisinin, spiega Philip Rosenthal, clinico di malattie infettive alla University of California, San Francisco, che lavora insieme all’OMS per studiare la malaria in Uganda. Questi parassiti impiegano più tempo per essere eliminati e possono ritornare da una settimana post infezione, ma nei casi in Africa subsahariana trattati con gli ACT (combinazione di artemether, altro derivato di artemisinin, con un’altro farmaco coadiuvante chiamato lumefantrine) sembra ancora essere efficiente.

Nonostante queste scoperte siano un campanello d’allarme, se le resistenze farmacologiche continuano ad evolvere, come ci si aspetta succederà, e i parassiti diventano resistenti anche alla lumefantrine, i risultati potrebbero essere disastrosi. In Africa un grande numero di bambini viene trattato in aree rurali senza infrastrutture adatte, una resistenza al farmaco principalmente utilizzato significherebbe un alto numero di vittime.
“Le mutazioni potrebbero non estendersi così rapidamente come è successo nel Sudest asiatico – sostiene Talley – in quanto molte persone in Africa si ammalano di malaria già in età giovanile. vivendo con parassiti nel sangue possono costruirsi un’ immunità nei confronti della malattia e una tolleranza alle nuove varianti. Così facendo le nuove varianti potrebbero non avere un effetto così contagioso sulla popolazione africana come su quella asiatica”.

Gli scienziati sono ancora preoccupati in quanto il fallimento dell’uso della clorochina, farmaco antivirale per il Plasmodium falciparum, che perse la sua efficacia nel suo uso a livello globale negli Anni ’50, e che secondo Rosenthal portò a milioni di morti aggiuntivi.

Anche se l’OMS ha attivato una campagna aggressiva nei confronti della resistenza parassitaria nelle aree asiatiche colpite attraverso il dispiegamento dei farmaci ACT in individui colpiti, lo stesso approccio sarebbe poco realistico nelle zone africane data l’estensione della malattia nella zona.

Queste ricerche mettono ancora più urgenza ai ricercatori che cercano di formulare nuovi farmaci e vaccini che possano curare la malaria, anche in caso i farmaci ACT fallissero in futuro. Nuove opzioni al momento sembrano lontane, e ci si aspetta un generale aumento degli studi riguardanti la resistenza farmacologica di questi parassiti.

 


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