13 Marzo 20202min

Quando la spiritualità vince la materialità

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HaTikwa, di Redazione

La Parasha di questa settimana, Parashat Ki Tissà, continua a raccontare della costruzione del Santuario, ma con una novità. Dio comanda agli ebrei di fermarsi il settimo giorno, di lasciar stare il lavoro quotidiano per dedicarsi a quello spirituale dello Shabbat.

Cosa impariamo dunque? Principalmente impariamo che nell’ebraismo il giorno dello Shabbat è talmente sacro ed importante da leggittimare persino l’interruzione dei lavori del Santuario. Il giorno dello Shabbat è il giorno che rappresenta il legame tra il Popolo di Israele e Dio. Un legame che culmina appunto nel settimo giorno della settimana, giorno in cui ci si dedica alla preghiera e alla lettura della Torah.

Impariamo tuttavia un’altra cosa in questa Parasha, che non ha nulla a che vedere con lo Shabbat. Impariamo che talvolta, anche quando crediamo di essere all’apice, dobbiamo fermarci. Proprio così. La frenesia della vita ci sottopone ad una corsa infinita nella quale spesso perdiamo noi stessi. La Torah ci insegna che molto spesso la cosa più giusta da fare è quella di fermarci e dedicarci ai noi stessi e ai nostri cari.

I Chachamim ci spiegano che l’istituzione del settimo giorno, quello dello Shabbat, arriva come risposta al peccato del vitello d’oro. Ovvero, la Torah ci insegna che il vitello d’oro rappresenta il peccatto della materialità. Le persone avevano rinunciato al proprio oro e ai propri gioielli per poter costruire un idolo da venerare. La materialità aveva avuto la meglio sulla spiritualità. Lo Shabbat è l’esatto opposto, in quanto rappresenta quel giorno della settimana in cui il lavoro viene lasciato a favore della preghiera.

Per sei giorni alla settimana l’uomo sovrasta la natura, la domina, la modifica, la stravolge. Nel settimo giorno l’uomo si rimette in linea con la natura. Abbandona la materialità per dedicarsi interamente alla spiritualità. Abbandona la routine per  dedicarsi all’unione con il Signore.


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