Pesach, le donne che hanno reso possibile l’esodo

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di Daphne Zelnick

“בְּכָל־דּוֹר וָדוֹר חַיָּב אָדָם לִרְאוֹת אֶת־עַצְמוֹ כְּאִלּוּ הוּא יָצָא מִמִּצְרַיִם”
“In ogni generazione, ogni persona deve vedersi come se fosse uscita dall’Egitto.”

La Haggadah prende il suo nome dal verbo lehagid, raccontare, ma il racconto che facciamo a Pesach non è una semplice rievocazione storica. Non diciamo “una volta siamo stati schiavi e poi siamo stati liberati”, perché l’Esodo non è solo passato: è un’esperienza che deve essere vissuta, interiorizzata, tramandata. Se in ogni generazione dobbiamo vederci come se fossimo usciti dall’Egitto, significa che Mitzrayim non è solo un luogo, ma una condizione esistenziale che si ripresenta in forme diverse.

In ebraico, la radice di Mitzrayim è meitzar, che significa strettoia, confine, oppressione. Rav Jonathan Sacks ci insegna che l’Esodo non è solo una fuga da una schiavitù fisica, ma un viaggio interiore, un cammino verso la consapevolezza di chi siamo e di cosa possiamo diventare. Ogni generazione ha il proprio Mitzrayim, perché ogni epoca ha le sue limitazioni, le sue paure, le sue catene, quelle visibili e quelle invisibili.

E se vogliamo capire cosa significa davvero uscire dall’Egitto, dobbiamo guardare alle donne che hanno reso possibile l’Esodo.

Le levatrici Shifra e Puah non si sono piegate agli ordini del Faraone e hanno salvato la vita dei bambini ebrei. Yocheved ha avuto il coraggio di lasciare andare Mosè nelle acque, affidandolo a un destino più grande. Miriam ha vegliato su di lui, ha mantenuto viva la speranza, ha guidato le donne nella danza della libertà. Il Midrash racconta che furono proprio le donne, con la loro forza e la loro fede, a far sì che il popolo non sprofondasse nella disperazione della schiavitù. Non hanno solo resistito: hanno costruito il futuro.

E questa è la chiave: la libertà non è solo uscire da Mitzrayim, è avere il coraggio di immaginare ciò che viene dopo. Rav Sacks diceva che l’ebraismo è una fede basata sulla speranza: la storia dell’Esodo non è solo il racconto della schiavitù, ma della possibilità di un mondo diverso, di un domani migliore. E questo domani dipende dalle nuove generazioni.

La Haggadah ci insegna che la libertà non è qualcosa che possiamo ereditare passivamente: deve essere trasmessa, raccontata, resa viva. Ecco perché la narrazione di Pesach ruota attorno alle domande dei figli e alla responsabilità dei genitori. Non basta ricordare, bisogna raccontare in modo che chi ci ascolta possa sentire che questa storia gli appartiene. La vera libertà esiste solo se una nuova generazione è pronta a raccoglierla, a sentirsi parte di un popolo che non è solo custode del passato, ma costruttore del futuro.

Allora, in questa notte di Pesach, mentre leggiamo la Haggadah e raccontiamo ancora una volta l’Esodo, chiediamoci: qual è il nostro Mitzrayim oggi? Quali sono le strettoie che ancora ci imprigionano, e come possiamo uscirne non solo per noi stessi, ma per coloro che verranno dopo di noi? Perché l’Esodo non è mai davvero finito. È un cammino che continua, in ogni generazione.


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