Intervista ad Alexis Lacroix: “Zemmour è il sintomo di una crisi francese”

ZEMMOUR-LACROIX

 

Fondato nel 1982, Actualité Juive è un settimanale che porta uno sguardo ebraico sulle vicende di attualità. La linea editoriale è unificante e inclusiva. Come HaTikwa, Actualité Juive è aperta al libero confronto delle idee ed è caratterizzata dallo sforzo di rappresentare tutte le diverse sensibilità dei lettori sia in Francia che in Israele. 

La tiratura del settimanale è di circa 14.000 copie, che hanno l’obiettivo di essere un filo conduttore tra Parigi e Gerusalemme. Israele rappresenta un importante impulso di crescita, vista la forte francofonia presente nello Stato ebraico. Per questo motivo, abbiamo reclutato giornalisti in entrambi i Paesi, affinché riflettano l’estrema diversità dell’ebraismo contemporaneo, una realtà aperta al dialogo e allo scambio di opinioni. 

Il direttore della rivista, Alexis Lacroix, ci ha gentilmente concesso un’intervista per aiutarci ad approfondire e comprendere le dinamiche attuali dell’ebraismo d’Oltralpe.

 

Ciao Alexis, è un piacere ricambiare il favore dopo essere stato intervistato da RadioJ. Innanzitutto, puoi parlarci brevemente della Comunità ebraica francese?

L’ebraismo francese è una realtà molto antica. All’epoca di Maimonide, ha dato i natali al rinomato Rav Rashì e, tra gli altri prodigi, può annoverare Rav Shlomo ben Itzhak haTzarfati, il quale ha contribuito significativamente alla costituzione della lingua francese moderna.

La Francia è profondamente permeata di ebraismo. Nella storia francese, l’attaccamento degli ebrei alla Repubblica è da sempre stato molto forte, anche prima della prova dell’Affaire Dreyfus. 

D’altro canto, oggi gli ebrei francesi soffrono molte angosce. Accanto all’antisemitismo, che negli ultimi vent’anni è divenuto una realtà molto preoccupante, molti ebrei francesi vivono con ansia la crisi identitaria che attraversa l’intera società. 

 

Oggi stiamo assistendo in tutta Europa ad un’agghiacciante crescita dell’antisemitismo. Secondo te, a cosa è dovuto questo odio?

Il professore dell’Università Ebraica di Gerusalemme Robert Wistrich z”l, che ho avuto il piacere di conoscere, definiva l’odio verso gli ebrei come “il più longevo”. Aveva ragione. È una piaga, un’epidemia che, purtroppo, accompagna la storia di tutte le società. 

Oggi credo si poggi su tre aspetti. Dal 1967, con l’incredibile vittoria israeliana, abbiamo assistito ad un rovesciamento: la sinistra progressista, di stampo comunista o anticapitalista, è diventata violentemente critica di Israele. Alimentando un odio molto diffuso in Europa e anche in America, che oggi si ritrova in molti campus universitari, e, naturalmente, tra i promotori del BDS. Ho analizzato le cause di questo odio “di sinistra” nel mio primo saggio, Il socialismo degli sciocchi (Le socialisme des imbéciles). 

Il secondo ambito è l’islamismo, a partire dai Fratelli Musulmani. Fin dal principio, il loro leader Hassan El Banna ha posto l’ostilità agli ebrei e all’yishuv al centro del suo movimento e della sua matrice politica. Poco dopo, i suoi sostenitori infatti parteciparono con entusiasmo alla causa nazista, formando la variante araba del nazionalsocialismo. 

Rimane un terzo ingrediente storicamente determinante: l’antisemitismo di estrema destra. Sarebbe sbagliato pensare che sia scomparso. Il consenso dato a demagoghi come Soral e Dieudonné dimostra che è ancora una forza mobilitante.

 

Recentemente un nuovo personaggio politico è sceso in campo nella scena francese, Zemmour. Cosa significa la sua candidatura per la Comunità ebraica francese?

La comparsa di Eric Zemmour ha molti livelli di significato. Il Presidente di Reconquête è soprattutto un sintomo, il sintomo di una crisi francese, e di una incapacità della nostra Repubblica di far rispettare la legge, di combattere l’islamismo e di riconquistare i cosiddetti “territori perduti”, termine coniato dallo storico Georges Bensoussan. Zemmour è anche il leader dottrinale di un movimento che si appella al generale de Gaulle, ma che prende in prestito molti aspetti da Maurras e Barres, importanti personalità del nazionalismo tra le due guerre. Zemmour non ignora che Maurras ha teorizzato l’antisemitismo di Stato prima di quanto fatto da Vichy nel 1940.

Il Presidente di Reconquête è soprattutto un sintomo, il sintomo di una crisi francese

L’agenda politica di Zemmour risulta essere molto più a destra dell’attuale ala conservatrice, com’è vista dagli ebrei francesi?

Hai ragione, c’è una chiara percezione che il posizionamento di Zemmour sia molto più a destra del conservatorismo liberale incarnato e rappresentato da Valerie Pecresse oggi e da Nicolas Sarkozy ieri. Zemmour occupa uno spazio politico che è quello della destra “fuori dalle mura” (hors les murs), lontana dai Républicains e aliena al Rassemblement National di Marine Le Pen. Una destra estrema, culturalmente reazionaria, economicamente liberale, ma illiberale per il resto. I legami con Trump sono davvero impressionanti e le somiglianze con Viktor Orban anche. 

Questa linea politica illiberale ha creato una profonda divisione fra gli ebrei francesi. Alcuni la acclamano, altri invece se ne preoccupano e ne denunciano la deriva radicale, come ha fatto recentemente il Rabbino Capo di Francia, Haïm Korsia.

 

Già al suo primo comizio pubblico ci sono state tensioni. In quanto esperto, ritiene che ci potranno essere ancora molti disordini ai comizi di Zemmour?

Non è facile da prevedere. Quel che è certo, è che il candidato di estrema destra ha stretto alleanze con vari gruppuscoli nazionalisti, molto agitati e violenti. Tuttavia, Zemmour sa che possono offuscare la sua reputazione e compromettere la ricerca di “presidenzialità” e l’immagine globale della sua campagna e dei suoi comizi.

Storicamente, gli ebrei sono stati attori importanti e anche un’avanguardia di questa fraternità nelle cause comuni sotto l’Arca della Repubblica francese. Devono davvero smettere di esserlo?

Che effetti può avere sulla Comunità ebraica la figura di Zemmour?

Il Partito di Eric Zemmour può essere una tentazione per gli ebrei francesi, in gran parte per i motivi che abbiamo elencato, ma anche per un altro: Éric Zemmour essendo egli stesso ebreo, può rappresentare una giustificazione più efficace al voto estremo rispetto al Rassemblement National. 

Eppure, c’è un rischio. Di fronte alle aggressioni radicali e islamiste, la nostra società ha bisogno di più, e non di meno, coesione e cause comuni. Éric Zemmour crede sinceramente che queste cause comuni – come l’antirazzismo e la fratellanza repubblicana – non siano più di stagione, che sono passé. 

Storicamente, gli ebrei sono stati attori importanti e anche un’avanguardia di questa fraternità nelle cause comuni sotto l’Arca della Repubblica francese. Devono davvero smettere di esserlo?

 

Considerato come gli attacchi della stampa a Trump si rivelarono un trampolino per la sua elezione, come tratterà questo tema Actualité Juive?

Storicamente, Trump era un paradosso. Zemmour, credo, si proietti mentalmente in una presidenza molto più sovranista. Il suo orizzonte è franco-francese. Pretende di restituire al popolo un potere “confiscato” dall’UE. Come con Trump, una certa correttezza politica è contro Zemmour, e si pronuncia con ardore contro tutte le sue idee; ma il Presidente di Reconquête non è un uomo solo, ha il sostegno entusiastico di un oligopolio potente, a partire dall’amico ultraconservatore Vincent Bolloré, proprietario dell’emittente televisiva CNews, paragonabile al ruolo di Fox News negli Stati Uniti.

 

Un’ultima domanda, un pizzico più personale. All’interno del tuo personaggio, quanto pesa la sua identità ebraica? 

La tua domanda è stimolante e appassionante. L’ebraismo si esprime in tutti gli aspetti della nostra esistenza, qualunque sia il nostro grado di pratica religiosa. Qualcosa rimane comunque a guidare le nostre azioni, modellare i nostri impegni e la visione del mondo. Nei miei impegni come editorialista, testimone impegnato e storico delle idee, la parte di ciò che devo allo spirito ebraico è importante o addirittura primaria. “Hesed” (Misericordia) e “Tikwà” (Speranza) sono per me linee di condotta, che permettono di resistere alla disumanità del nostro tempo. Senza l’ebraismo, il mio sguardo sulla nostra epoca sarebbe radicalmente diverso.

 


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