Intervista ad Anna Malgeri: “Abbracciami, Israele”

Anna Malgeri

di Nathan Greppi 

 

Abbracciami, Israele

e amami.

Fammi toccare la luna

e il sole che brucia la mia pelle italiana.

Nel mio sangue scorre la tua essenza.

Sono io la voce della moschea

il canto della sinagoga

il suono delle campane della chiesa.

 

Questi versi sono tratti da una delle 24 poesie dedicate a Israele e al Popolo ebraico che compongono la raccolta Abbracciami, Israele della poetessa Anna Malgeri, pubblicata da Ensemble. La Malgeri, 29 anni e originaria di Rende (provincia di Cosenza), dopo gli studi storici all’Università di Firenze ha studiato l’ebraico, frequentando l’Ulpan all’Università di Tel Aviv, e oggi svolge attività di ricerca sulla storia ebraica.

Come è nato il tuo interesse per Israele e l’ebraismo?

Ho iniziato a leggere la Bibbia a 12 anni, spinta dalla curiosità di capire diverse cose sulla mia religione, quella cattolica. Il salto all’ebraismo è avvenuto all’università, all’ultimo anno della triennale, quando alla mia docente di storia medievale proposi di occuparmi degli ebrei in Italia nel Medioevo. È da lì che è iniziato tutto. Il primo libro che ho letto sull’ebraismo è stato Tra due mondi di Rav Roberto Bonfil. Questo testo, e La Kabbalah e il suo simbolismo di Gerschom Sholem, sono stati i miei amori a prima vista. Nel marzo 2019 decisi di studiare l’ebraico facendo l’Ulpan a Tel Aviv, e lì ho vissuto da luglio a settembre.

Quando hai deciso di scrivere queste poesie?

Già prima scrivevo poesie, ma i miei amici israeliani mi hanno suggerito di scriverne su Israele. Le ho scritte durante e dopo il viaggio, e grazie alla casa editrice Ensemble ho potuto raccoglierle in un unico libro e pubblicarlo.

Come ti sei trovata in Israele?

È stata un’esperienza bellissima, che consiglio a tutti di provare, anche solo per visitare il paese.

Alcune poesie sono dedicate a città: Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, Ashdod. Ce n’è una che ti è rimasta particolarmente impressa?

Sicuramente Haifa, perché con la sua multietnicità e i suoi colori, soprattutto se penso ai giardini Bahá’í, rappresenta il mio modo di vedere la vita: colorata e variegata.

In una poesia definisci Israele “Bait Shelì”, ovvero casa mia. Vorresti tornarci presto?

Assolutamente, anche perché gli amici che ho trovato lì sono per me una seconda famiglia.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Intanto vorrei pubblicare la mia tesi magistrale come monografia. Si tratta della biografia del medico Cesare Lampronti (1753 – 1825), che riuscì a diventare presidente della Camera di Commercio di Firenze in un periodo in cui gli ebrei non avevano gli stessi diritti degli altri cittadini.


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