Dalla festa di Purim al processo di Norimberga: un filo invisibile che lega la storia

di David Di Segni
Nel corso della storia del popolo ebraico, numerose sono state le civiltà che hanno tentato di distruggerlo, senza mai riuscire nell’intento. Gli ebrei hanno sempre dovuto proteggere sé stessi e le proprie tradizioni, usi e costumi che tutt’oggi vivono e resistono. Perché? Perché nessun ebreo deve dimenticarsi di ciò che gli ha fatto Amalèk, del male che gli è stato inflitto. Non a caso, nel calendario delle festività ebraiche, viene rammentato come il Popolo d’Israele si sia salvato dall’Egitto, a Pesach, e di come la sua sorte, a Purim, sia stata capovolta.
Storicamente, la storia di Purim risale alla seconda metà del ‘400 a.C., durante il terzo anno di mandato del re “Achasverosh”: conosciuto come “Assuero” o “Serse I”, il suo regno si estendeva su 127 paesi, dall’India fino all’Etiopia. Erano trascorsi settant’anni da quando i Babilonesi avevano demolito il Tempio di Gerusalemme, e proprio quell’anno il re di Persia organizzò un banchetto per tutti i sudditi, compresi gli ebrei di Susa (la capitale di allora).
Il banchetto di prelibatezze non kasher era stato motivo di discussione tra gli ebrei, ai quali Mordechai, uno dei loro esponenti più importanti, aveva sconsigliato di andare. Tuttavia, per timore di possibili ritorsioni dovute alla loro assenza, gli ebrei si recarono alla grande festa dove erano stati allestiti i teli bianchi, verdi, azzurri del distrutto Tempio di Gerusalemme e dove il Re si presentò con le vesti dei Coanìm, i sacerdoti. Il settimo giorno di questa lunga cerimonia, Assuero ordinò a sua moglie Vashtì, nipote di Nabucodonosor II, di mostrare la sua bellezza presentandosi nuda davanti a tutto il regno. Questa rifiutò, ma non per motivi di vergogna o pudore, bensì perché affetta da un’improvvisa lebbra che viene religiosamente attribuita al suo trattar male e far lavorare donne ebree di Shabbat durante i festeggiamenti.
Il rifiuto dell’ordine fece infuriare il Re, che chiese consiglio sul da farsi ai saggi ed a coloro che “conoscevano le norme”, cioé gli ebrei. Consigliare la morte della moglie del Re li avrebbe fatti uccidere tutti, il contrario li avrebbe fatti apparire come ostili alle decisioni del monarca. Così i saggi decisero di astenersi perché, fu questa la motivazione, la loro lucidità nel giudizio era venuta meno dalla distruzione del tempio. È in quel momento che prese parte alla vicenda Ammàn, il perfido ministro del re, il quale fece notare che la disobbedienza della regina sarebbe stata monito per tutte le donne di ribellarsi ai mariti, e che quindi doveva essere uccisa.
Sarà proprio Amman a convincere Achasverosh a non consultare gli esperti prima di prendere delle decisioni. La sorte si capovolgerà, così che quando il Re deciderà di uccidere Ammàn, lo farà senza consultare gli esperti.
Dopo la vicenda di Vashtì, il re diede l’ordine di trovare una nuova moglie. I suoi mandanti trovarono una ragazza di nome Ester, cugina di Mordechai, il quale le ordinò di “mascherare” la sua identità e la sua fede. Poco dopo, fu proprio Mordechai a udire due ministri complottare contro il re, e la notizia giunse alle orecchie di Achasverosh, che decise di iscriverlo nel “Libro dei ricordi” come l’uomo che gli aveva salvato la vita. Accadde che Ammàn, ormai primo ministro, usava girare per la Persia con l’immagine del suo idolo appesa al collo, al cui passaggio chiunque doveva inchinarsi. Tutti lo fecero, tranne Mordechai. Così Amman decise di vendicarsi e tirò a sorte un mese in cui poterlo fare: Adàr (mese di morte e nascita di Mosè). Fu decretato che il di 13 di Adar dell’anno successivo gli ebrei sarebbero stati uccisi.
È bene chiarire che nella religione ebraica la sorte non è altro che la evidente mano di Hashem. Per questo Ester e il popolo digiunarono per tre giorni per chiedere la salvezza ad Hashem (così è ancora uso fare, il “Ta’anit Ester” è il digiuno, dall’alba al tramonto, che gli ebrei seguono per ricordare la salvezza del popolo ebraico). Dopodiché questa parlò col Re e lo convinse della perfidia di Amman, che venne smascherato e ucciso assieme a tutti i suoi collaboratori proprio il 13 di Adar: stessa data in cui il visir aveva deciso di uccidere il popolo ebraico. “La forca che doveva essere usata per Mordechai, venne usata per Ammàn”, e fu così che la sorte, Pur in ebraico, si capovolse.
Così finisce la storia di chi bramò per uccidere il popolo d’Israele. Come abbiamo detto all’inizio, la storia si è ripetuta più volte nel corso dei secoli e con modalità differenti. La più recente è la Shoah, che è legata alla storia di Purim più di quanto si possa credere. Durante il processo di Norimberga, quando furono portati a giudizio una quantità di nazisti microscopica rispetto al numero reale di colpevoli, Julius Streicher, alto dirigente del Partito Nazista ed editore del settimanale antisemita Der Stürmer, prima di essere giustiziato pronunciò queste parole:” Saranno contenti gli ebrei: oggi è Purim 1946”. Altre fonti riportano questa frase: “Questa è la mia celebrazione del Purim 1946.” Diversi modi per esprimere il medesimo misterioso concetto, che ha destato una notevole attenzione nel mondo ebraico e sul cui significato hanno indagato i giornalisti Bernard Benyamin e Yohan Perez in collaborazione con alcuni rabbini. Il loro libro “La profezia dell’Olocausto: Il codice segreto di Ester” spiega quelle parole ed il nesso profetico tra Purim e la Shoah.
Dopo che la regina Ester chiese la morte di Ammàn e dei suoi collaboratori, che erano i suoi dieci figli, il re l’aveva invitata ad avanzare altre richieste che avrebbe potuto esaudire. Nonostante ciò, la regina aveva risposto nuovamente: “I figli di Ammàn venissero impiccati all’albero” (9,13). Perché ripeterlo di nuovo? Chi sono questi altri dieci figli di Ammàn? Tutto ciò è scritto nella pergamena di Ester che si legge a Purim. L’elenco dei nomi dei figli di Ammàn impiccati è scritto nel testo con una impaginazione particolare, tale da generare l’effetto ottico di un unico patibolo dal quale figurano pendere dieci corpi, uno sopra l’altro.
Alcune lettere dei loro nomi sono scritte in minuscolo rispetto a tutto il testo, il che ha portato gli studiosi ad accorpare le lettere, che in ebraico, come è noto, hanno un valore numerico: la “Tav”, ת, del nome Parshan, la Shin, ש, del nome Parmashta, e la Zayin, ז, del nome Wayzata sono scritte con caratteri più piccolo rispetto alle altre lettere. Sommando i loro valori numerici (400+300+7), risulta il numero 707. Inoltre, la “Waw”, ו, di Wayzata è scritta più grande nel normale. Il suo valore numerico equivale a 6 e, date le sue dimensioni, corrisponde non ad un anno, bensì ad un millennio: il sesto. Indica dunque il millennio nel quale avviene la vicenda e sappiamo che il sesto corrisponde a tutti gli anni compresi nel 5000. Se si aggiunge il numero 5 in capo alla cifra iniziale, “707”, si ottiene “5707”, che corrisponde proprio all’anno 1946 del calendario gregoriano.
Solo una questione rimane in sospeso: Ammàn e i suoi figli erano in tutto undici, mentre i condannati a Norimberga dodici. Tuttavia, solo undici vennero giustiziati, perché Goering si uccise col cianuro poco prima dell’esecuzione.
Così termina la storia di chi tentò di distruggere il popolo d’Israele.

L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.